Il 20 maggio 2011 la Georgia ha riconosciuto come genocidio l’uccisione e la deportazione dei Circassi del Caucaso russo in epoca zarista. È il primo paese a riconoscere il genocidio circasso.
I Circassi, chiamati Adyghes nella loro lingua, sono una delle minoranze del Caucaso. Durante il periodo zarista l’Impero Russo combatté una serie di guerre per sottomettere la regione, e intorno al 1860 uccise o spinse alla fuga decine di migliaia di Circassi. La maggior parte emigrò nell’Impero Ottomano (attuale Turchia), dove oggi sono circa 2 milioni, mentre nel Caucaso ce ne sono circa 800.000.
I Circassi, come altre minoranze della regione – soprattutto Ceceni e Daghestani – chiedono da decenni il riconoscimento del genocidio, ma il Cremlino e la comunità internazionale non hanno mai accolto le loro richieste.
I Georgiani hanno deciso di sollevare il problema per punzecchiare la Russia, che nel 2014 ospiterà le olimpiadi invernali proprio nel Caucaso, dove negli ultimi mesi si sono verificati numerosi sabotaggi – forse finanziati da Tbilisi – ai danni delle infrastrutture in costruzione.
Inoltre la Georgia è sempre più preoccupata della crescita dell’Abkhazia – resasi indipendente dalla Russia nel 2008 – che ha raddoppiato l’economia da quando sono iniziati i lavori per le olimpiadi. Riconoscendo il genocidio, la Georgia spera di seminare discordia fra Circassi e Abcasi, che si sono schierate insieme contro la Georgia nel 1992-93 e nel 2008, e mettere l’Abkhazia in una posizione difficile di fronte al Cremlino.
I problemi interni
La sera del 25 maggio 2011, pochi giorni prima della parata per il Giorno dell’Indipendenza, la polizia ha duramente represso una manifestazione dell’opposizione: negli scontri sono state uccise due persone e 90 sono state ferite.
Probabilmente queste manifestazioni non cambieranno gli equilibri interni: il presidente Sakaashvili – che ha immediatamente accusato la Russia di aver organizzato la protesta – è tuttora popolare, e al momento non ci sono sfidanti degni di nota – anche perché nessuno ha intenzione di cambiare la politica estera per riallinearsi alla Russia.
Tuttavia il regime rischia le critiche dell’Occidente – in primis dell’UE – per i metodi repressivi utilizzati contro i dimostranti. Benché il governo Sakaashvili abbia fatto dell’integrazione con l’Europa una priorità – come testimoniano i tentativi di entrare nell’UE e nella NATO e alcune riforme economiche e legali – la Georgia presenta ancora la struttura centralizzata e semiautoritaria dei regimi post-sovietici, poco propensi ad accettare il dissenso delle opposizioni.
A cura di Davide Meinero
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